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È il Signore!
(Giovanni 21,7)

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Alcuni accorgimenti per la vita interiore

Quando l’orazione diventa arida

Praticamente si passa il tempo assegnato a dire giaculatorie, o si recita lentamente il Pater, l’Ave, cercando di accompagnare con il cuore quanto dice la bocca. Oppure aiutandoci (se così riteniamo opportuno) con una frase, ripetuta anche cento volte…, che esprime il nostro desiderio, per esempio: “Gesù, ti amo, ti vorrei tanto amare” oppure: "Gesù mio, Misericordia!"

Non si tema di perdere tempo con questa orazione arida! Quando si vuole amare, realmente si ama; quando si vuole detestare il peccato, realmente si detesta, anche se non sentiamo l’amore e l’odio.

L’estasi della vita

L’intima unione con Dio è destinata ad estendersi a tutta la vita. Pur attendendo agli ordinari doveri, si sta uniti a Dio. Le opere esterne si fanno con spirito di preghiera. Il termine è di San Francesco di Sales: “Quando dunque, o Timoteo, vedrete un’anima che nella orazione va in estasi, ma che non conduce una vita estatica, perché non ha ancora rinunciato a se stessa … le sue estasi attirano l’ammirazione degli uomini, ma non santificano”(S. Francesco di Sales, Trattato dell’amor di Dio).

-     Silenzio: le chiacchiere inutili debbano essere evitate. Possibilmente, per strada, quando si attende, sul tram, non si perda tempo, si preghi!

-      Uso della giaculatorie: le giaculatorie possono essere varie. La giaculatoria “Dio solo! O Dio, o niente!” È un’autentica “chiavetta” per chiudere fuori i pensieri inutili. Quando sorge un pensiero inutile (fantasie, ricordi belli o brutti del passato, sgridate o lodi ricevute, progetti in aria, nostalgie, sentimentalità fuori posto, ecc.) questo pensiero deve essere respinto. Subito si dica: “Dio solo! O Dio, o niente!”. La chiavetta ben intesa è un intensissimo atto di amore

-     Orazione durante il lavoro: per quanto è possibile si cerchi l’unione con Dio sul lavoro con la preghiera. Non si richiede necessariamente l’orazione vocale; è sufficiente, se così piace, starsene in silenzio, tranquillamente uniti a Dio. Se il lavoro è tale da impedirci l’unione attenta con Dio, è necessario allora sfruttare tutti i ritagli di tempo: quando si è per le scale quando si attende ecc.

-       Vivere l’attimo che passa: chi si limita a vivere con la massima intensità l’attimo che passa, vive assorto in una continua estasi, perfettamente unito alla volontà di Dio manifestata noi attimo per attimo. Il passato non è più, l’avvenire non è ancora, il presente soltanto è reale e porta con sé un dovere. È irragionevole il timore di non poter vivere questa estasi della vita cioè questa continua unione con Dio. È irragionevole opprimere il proprio spirito con la preoccupazione di milioni di attimi da riferire a Dio! È sufficiente vivere l’attimo che passa. Non ci si deve preoccupare di fare molto o poco, cose notevoli o insignificanti. Dobbiamo donarci attimo per attimo a Dio, facendo ciò che Dio vuole nell’attimo che passa.

-    Occhiata: l’occhiata è un esame di coscienza di qualche secondo. In un momento qualsiasi, quando voglio sapere a quale punto mi trovo, mi domando: “Cos’è che occupa in questo momento il mio cuore? Dov’è il mio cuore?” Nel medesimo istante la risposta è data dentro di me;

-       Presenza di Dio: Dio è presente in noi! Vivere con lui è la continua estasi. Dobbiamo avere il culto della cella interiore di cui tanto parla Santa Caterina da Siena: “molti vivono in una cella, ma col pensiero sono assenti … Entriamo nella cella del conoscimento di noi”. È la formula che ritorna di continuo nelle lettere di Caterina. E noi troveremo Dio! Interessante è il proposito di un’anima santa: “sfruttare particolarmente la solitudine è per me un sacramento. Egli è sempre là”. Come è consolante, nell’ora dello sconforto, quando tutto crolla attorno a noi, raccoglierci con Dio realmente presente nel silenzio della cella interiore! 

       (liberamente tratto da Padre Giuseppe Maria da Torino, Teologia Ascetica, L.I.C.E.-BERRUTI & C.-Torino 1945)

Quando l'orazione diventa arida