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Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero»
Matteo 11, 28-30.
 

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Norma della predicazione è anzitutto la Scrittura: la teologia patristica l’ha evidenziato con grande enfasi contro la gnosi; Lutero ha dato a questa affermazione un accento nuovo ed ha decisamente sottolineato l’eminente chiarezza della sacra Scrittura, la quale è essa stessa il proprio interprete e non ha bisogno di nessun altro interprete. Il movimento biblico del secolo XX fu anch’esso sorretto da questa consapevolezza e il cammino della scienza storica sembrò fondare definitivamente su solide basi la tesi dell’univocità della Scrittura.

Oggi siamo giunti, in modo quasi sconcertante, ad una conclusione diversa dei fatti. Il problema ermeneutico investe tutta la Scrittura e nella disputa tra storici e ermeneutici nulla è rimasto della biblica chiarezza che brilla di luce propria. La varietà contrastante di una letteratura, cresciuta nei secoli, obbliga a porre un problema che ormai non può più essere risolto richiamandosi alla semplice norma, proposta da Lutero, per il quale la norma intima si decide domandandosi “che cos’è che spinge a Cristo”.

Resta ancora da ricordare la differenza esistente tra fonti e redazione, tra interpretazione ed interpretazione; ma, in particolare, la questione dell’unità tra il tempo di allora e il tempo di oggi: qui si fonda l’intero problema di una visione del mondo; sorge nuovamente quindi, il problema del criterio: a vista d’occhio questo problema si trasforma in porta aperta sia per pretesti apologetici, come per stravaganti modernizzazioni.