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Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me, e io in lui,
porta molto frutto,
perché senza di me
non potete far nulla
(Giovanni 15,5)

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Teresa d’Avila, dottore della Chiesa
ci parla della preghiera, dai suoi inizi fino alla contemplazion
e

Così Teresa definisce l’orazione: «A mio parere non è altra cosa che un tratto amichevole in cui l'anima parla spesso intimamente con Colui da cui sa di essere amata»
In questa definizione mette in evidenza la parte affettiva dell'orazione: «L'orazione non consiste nel molto pensare, ma nel molto amare», dev'essere un colloquio col Signore  

«Se il Signore ci chiama a bere a questa fonte, non abbiamo timore che ci lasci morir di sete. Ve l'ho già detto e vorrei ripeterlo mille volte, perchè so che, non conoscendo per 9 quanto sia grande la bontà di Dio, è molto facile scoraggiarsi .

 L'orazione vocale non è l'ora­zione mentale, ma non se ne stacca neppure nettamente, anzi, per essere fatta bene, non può andar disgiunta dall'orazio­ne mentale.

«Dovete sapere che la differenza tra l'orazione mentale e la vocale non consiste solo nel tener chiusa la bocca». Si può benissimo parlare anche durante l'orazione mentale, si può unire l'orazione mentale a quella vocale, se durante la recita di preghiere vocali, più che al senso delle parole che si pronunciano, con l'intenzione generale di lodare il Signore, la nostra mente è totalmente occupata di lui. «Se pregando vocalmente sono veramente persuasa di parlare con Dio, e attendo più a lui che alle parole che pronuncio, la mia orazione vocale si unisce alla mentale.

E’ chiaro il carattere principalmente affettivo dell'orazione, ma il pensiero non viene escluso, poichè la conoscenza è guida e sprone all'amore, generando nell'anima la convinzione di essere amata dal Signore. Orazione vocale è recitare il Pater noster, l'Ave Maria o qualche altra preghiera; ma se non l'accompagnate alla mentale è come una musica sto­nata»

Del modo di comportarci col Signore la Santa raccomanda di mettersi, per pregare, in solitudine esterna e soprattutto interna, e richiamare la nostra attenzione per fissarla su Colui al quale parliamo.

Qualunque preghiera, anche vocale, non deve essere un semplice muover di labbra, ma vera preghiera. «Vi dirò sempre di unire l'orazione vo­cale alla mentale». E, rispondendo a quelli che di­cevano che si deve pregare vocalmente; la Santa vuole che inqua­driamo l'orazione vocale nella mentale: quando recitiamo l'Ufficio Divino dobbiamo accompagnarlo sempre col racco­glimento interno, pensando a Dio; se recitiamo il Rosario è conveniente pensare alla Madonna …
Ecco la prima cosa che bisogna fare nella preghiera: av­vicinarci al Signore, prendere contatto con lui, prendere co­scienza che siamo dinanzi a Dio così grande e così buono! Il metodo teresiano d'orazione c'insegna questo.

Per pregare bene dovremo metterci nelle disposizioni più favorevoli. Anzitutto nella solitudine, non solamente nella solitudine esterna, ma specialmente nella solitudine interna, per non essere distratti da nessun altro pensiero e poter pensare solo al Signore. E' un invito al raccoglimento se­condo la raccomandazione di Gesù: “Quando vuoi pregare, entra nella tua camera e, chiuso l'uscio, prega il Padre Cele­ste” (Matt., VI, 5). Linguaggio figurato atto a farci capire che, per parlare al nostro Padre celeste, dobbiamo stare raccolti.

Notiamo qui nuovamente il buon senso di S. Teresa che, dopo aver raccomandato vivamente il raccoglimento, pre­vede le giornate d'indisposizione, d'impossibilità di racco­gliersi, ma in questo non c'è colpa nostra; la pena che ne proviamo lo dimostra in modo evidente, e il Signore vedrà la nostra buona volontà. “Perciò non s'inquieti, ché sarebbe peggio, nè si stanchi per rimettere in carreggiata l'intelletto, ma preghi come può”. In seguito il testo spagnolo dice: "Ciò che possiamo fare noi è di procurare di stare in solitudine... per intendere con chi siamo e che cosa ri­sponde il Signore alle nostre domande. Credete forse che egli non parli perché non ne udiamo la voce? Egli parla certamente al cuore quando di cuore lo preghiamo”. La Santa assicura che il Signore ascolta l'anima raccolta.

Raccolta è quella che cerca amorosamente il Signore e l'amore è una mutua benevolenza tra l'anima e Dio, una ricerca reciproca.

«E' bene inoltre considerare che il Signore ha insegnato e continua ad insegnare questa sua preghiera a ciascuno di noi in particolare. Il Maestro non è così lontano dal disce­polo da aver bisogno di alzare la voce, anzi è molto vicino. Desidero che comprendiate come, per recitar bene il Pater noster, vi conviene non allontanarvi mai dal Maestro che ve lo insegnò». Il Signore non fa sentire la sua voce, ma risponde man. dando la sua grazia, la luce, lo stimolo per andar a lui con più decisione.

Chi prega vocalmente in questa maniera fa già orazione mentale: «Direte che questo è già meditazione, mentre voi non potete, nè volete far altro che pregare vocalmente». Sicuro che lo è, ma se non facciamo così come potre­mo far bene l'orazione vocale? «Vi sono infatti persone così amanti del proprio comodo da non volersi dare nessuna pena e, siccome non hanno l'abitudine di raccogliere sul principio il pensiero, per non stancarsi un poco, dicono che non lo sanno fare e che sanno soltanto pregare vocalmente». Ma questo sforzo è pur necessario perchè la nostra preghiera sia fatta con attenzione «e siamo obbligati a pregare con attenzione» afferma la Santa.
«Abbiate dunque pazienza e procurate di abituarvi a questa pratica tanto necessaria».

Contemplazione

La Santa termina l'esposizione circa la natura dell'orazione mentale paragonandola ora con la contemplazione.
Parlando dell'orazione vocale ripete che bisogna aggiun­gervi quella mentale; presenta dunque l'orazione mentale quale accompagnamento dell'orazione vocale, mostrando come, per le anime che hanno difficoltà, a meditare, possa essere di aiuto appoggiarsi ad una formula di preghiera e intorno a questa fare delle considerazioni. Ricordando tutto ciò, dice parecchie cose riguardo alla contemplazione.

Per primo osserva esser molto facile che il Signore elevi alla contemplazione un'anima che fa bene la sua orazione vocale, cercando di unirvi l'orazione mentale, col pensare: con chi parlo? — chi sono io? — che cosa gli dico con la for­mula che recito? — ponendosi in una solitudine esterna ed interna e cercando il Signore con cuore sincero. Allora il Signore, dice S. Teresa, risponde al cuore — quando è il cuore che parla — e questo rispondere del Signore è la con­templazione.

Faccio notare quanto ciò sia confortante per molte per­sone che non riescono a meditare. Basta applicarsi con tutto il cuore alla preghiera vocale per raggiungere la contempla­zione, se a Dio piace concederla. Ne abbiamo un esempio in S. Teresa di G. B. Ella non aveva facilità per la me­ditazione: si aiutava spesso col libro, con preghiere vocali recitate lentamente, per esempio col Pater; faceva da parte sua quanto le era possibile, ma con difficoltà e proprio in mezzo a queste difficoltà il Signore veniva a visitarla, ad il­luminarla, e questi erano momenti di contemplazione, seb­bene non di contemplazione così alta come quella di cui parla qui S. Teresa. «Non crediate che sia poco il profitto che si ricava quando si fa con perfezione l'orazione vocale. Vi dirò anzi che può essere possibilissimo che mentre recita­te il Pater noster o qualche altra preghiera vocale il Signore vi elevi fino alla contemplazione perfetta».

Dalla descrizione che ne fa, si capisce che la Santa parla qui della contemplazione perfetta, ossia unitiva, per cui l'ani­ma è assorbita in Dio; è lui che l'immerge nella contemplazione e le dà una conoscenza non più concettuale, ma spe­rimentale.

L'azione divina che muove la volontà fa nascere, nella potenza intellettiva, una nuova luce che dà origine ad una contemplazione molto elevata. Il Dottore mistico [san Giovanni della Croce] dà nel suo Cantico la seguente spiegazione: [mentre] «il tocco divino soddisfa grandemente e accarezza la sostanza dell'anima, compiendo soavemente il suo desiderio che è di vedersi in tale unione... quella sottilissima e delicata intelligenza penetra nell'intimo... con ammirabile e saporoso diletto che è il mas­simo tra tutti. La ragione di questo è che si dà all'anima una `sostanza intesa' e nuda di accidenti e fantasmi, che viene presentata all'intelletto passivo o possibile come lo chia­mano i filosofi; perchè la riceve passivamente, cioè senza che esso faccia alcunchè da parte sua. Ciò costituisce il principale diletto dell'anima, perchè è nell'intelletto, ed in ciò consiste la fruizione, ossia la visione di Dio, come dicono i teologi».

Della contemplazione unitiva, S. Teresa tratta a lungo nelle sue Opere. Le più belle descrizioni le dà al capitolo diciottesimo della Vita e poi nelle quinte e seste Mansioni del Castello Interiore.

Ecco il modo con cui la Santa caratterizza questa ora­zione: “L'anima riconosce che il divino Maestro la va istruendo senza strepito di parole. Egli ha sospesa l'attività delle sue potenze [fantasia, intelletto, volontà], le quali, se in quel momento operas­sero, lungi dal giovare, sarebbero di danno». Ora le potenze si devono tenere tranquille perchè il Signore stes­so opera.

Sebbene si sappia, mi piace insistervi: finchè il Signore non dà all'anima la contemplazione, l'anima non vi si deve mettere da se stessa, ma deve disporsi, coltivando in tutti i modi il raccoglimento, applicandosi alla meditazione e cercando di portarsi tutta in Dio, con la semplice attenzione amorosa generale.

Ma quando il Signore attira l'anima, e le si dà a gustare mettendo in tranquillità tutte le sue potenze, allora l'anima deve solo ricevere e non fare più sforzi. «Le potenze intanto godono, ma senza saperne la maniera». L'intelletto discor­sivo non c'entra e, siccome noi intendiamo col raziocinio, quando questo non funziona, non si riesce più ad intendere, ma allora si conosce per esperienza.

Per caratterizzare la contemplazione S. Teresa dice che «é un intendere non intendendo», espressione così giusta che è stata ripresa e usata da S. Giovanni della Croce (Il Santo vuol dire che è un inten­dere non paragonabile al nostro intendere ordinario e connaturate: questo è “concettuale”, cioè procede con idee distinte che provengono dai sensi; la conoscenza di cui si tratta qui procede invece da un'altra fonte: dall'esperienza della volontà e non è quindi concettuale. Con l'orazione di unione l'anima ha veduto aprirsi largamente le porte di un mondo nuovo che nell'orazione di quiete si erano appena socchiuse ed ora vi si vede gradualmente più immersa fino a perdervisi tutta
Cfr. S. Giovanni della Croce, Cantico A, XXXVIII, 9.)

L'anima sente che sta unita al Signore, ma non lo può esprimere perchè non può formare concetti, idee. «L'anima va bruciando d'amore, ma senza conoscere il modo e, ben­chè senta di godere dell'oggetto del suo amore, non sa in qual maniera lo goda». Vedete? c'è sempre il contrasto tra l'esperienza intima e l'intelletto che non sa capire. «Com­prende che il suo intelletto non avrebbe mai potuto deside­rare un tanto bene, la volontà l'abbraccia, ma senza sapere in qual modo». Dopo questi momenti, ricordando ciò che è accaduto, l'intelletto è convinto d'aver gustato Dio stesso: «Quando arriva a capire qualche cosa, vede che si tratta di un bene che non può essere meritato neppure con tutti i travagli della terra, non essendo che un dono del Signore della terra e del cielo, che dona sempre da pari suo. E que­sta, è contemplazione perfetta».

La conclusione è che anche le persone che non possono leggere, possono giungere fin là, Il Signore può prenderle nel suo amore e portarvele.

Bisogna notare che quando S. Teresa parla di contemplazione, parla sempre di contemplazione perfetta. Così quando la propone come fine, o quando parla della fonte d'ac­qua viva, intende sempre parlare di contemplazione per­fetta, sperimentale e ci ricorda che le nostre aspirazioni pos­sono spingersi fin là, sempre con grande abbandono, poi­ché il Signore rimane padrone dei suoi doni e li dà in di­versa maniera.

S. Teresa ha detto che cosa è la contemplazione ed ora la paragona con l'orazione mentale che è la forma d'ora­zione più vicina alla contemplazione, pur accennando an­cora, brevemente, all'orazione vocale. Tre concetti messi in­sieme.

L'orazione vocale consiste nella recita di preghiere. Dell'orazione mentale la Santa ci dirà nel modo più bello che cosa sia, tenendo presente quella di cui tutte sono capaci, cioè quella che accompagna l'orazione vocale, facendo os­servare come «in queste due sorta di orazioni, con l'aiuto di Dio possiamo fare qualche cosa anche da noi; ma non possiamo assolutamente nulla quanto alla contemplazione».

L'orazione mentale «consiste nel pensare ed intendere quello che diciamo e nel considerare a chi ci rivolgiamo e chi siamo noi per parlare a un Dio così grande». Re­citando per esempio quelle parole «Pater noster» fermarsi sulla parola: Pater... Chi non può fermarsi su questa pa­rola? manifestazione così bella della misericordia divina e pensare: dunque io sono figlio Suo... Tutto il mistero della grazia, dono dell'amore divino, è contenuto lì. E per­chè il Signore ha voluto darci la grazia? — Perchè egli è amore, «Deus caritas est».

Anche col solo ragionamento si può arrivare a capire che Dio ama le sue creature, ma se conosciamo questa ve­rità solo col ragionamento, non penetrerà profondamente in noi. Dobbiamo conoscerla per fede; questa conoscenza è molto più penetrante, basandosi sulla parola divina. Quan­do conosciamo una cosa col ragionamento vi aderiamo solo con l'intelletto; nella conoscenza di fede, invece, entra tutta l'anima, cioè intelletto e volontà e allora l'adesione è com­pleta e così forte che ci prende tutti. Così, per esempio, nel caso suaccennato delle considerazioni sulla parola Pater la fede c'ispirerà la più grande fiducia in lui.

Questa conoscenza è dell'intelligenza, ma si acquista sotto l'impulso della volontà. L'amore ci fa penetrare molto più addentro nelle verità della fede.

La nostra povertà il Signore l’ha rivestita della sua grazia: «...quanto più Dio ama, tanto più favori dispensa. E la sposa dei Cantici esprime la stessa cosa, dicendo alle altre anime: Sono bruna, ma bella, figlie di Gerusalemme. E perciò il Re mi ha amato ed intro­dotto nell'interno suo talamo...

Chi potrà mai ridire dove giunga la munificenza di Dio nell'in­grandire un'anima quando di lei si compiace? Non si può esprimere a parole e neppure immaginare... Quindi è che i migliori e principali beni della sua casa, cioè della sua Chiesa, sia militante che trionfante, Dio li accumula in colui che gli è più amico, a fine di onorarlo e glorificarlo maggiormente....” (Cfr. S. Giovanni della Croce, Cantico XXXII e ss).

Così anche per il Rosario. Se voi dite il Rosario senza pensare alle parole che dite, ma con l'atteggiamento di un figlio che sta volentieri con sua madre, fate buonis­sima orazione vocale e mentale.

Concludendo, diciamo che in questa orazione possiamo fare qualche cosa anche noi e dobbiamo farla, ma nella con­templazione invece, tutto dipende da Dio; volercela procurare, sarebbe cosa ridicola. Dobbiamo da parte nostra di­sporci ad essa applicandoci all'orazione vocale e mentale; se poi il Signore ci metterà in silenzio, lo staremo ad ascol­tare.

(Cfr. P. Gabriele di S. M. Maddalena, La via dell’Orazione, Monastero S. Giuseppe, Roma 1961, p. 127-141).