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È il Signore!
(Giovanni 21,7)

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            I nomi di Dio
              (Rocco Quaglia)


Abbreviazioni dei libri biblici                                                         

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At              Atti degli apostoli

Col            Lettera ai Colossesi

1-2Cor       Prima e seconda lettera ai Corinzi

Eb              Lettera agli Ebrei

Ef               Lettera agli Efesini

Es              Esodo

Gal             Lettera ai Galati

Gen            Genesi

Gv              Vangelo di Giovanni

1Gv            Prima lettera di Giovanni

Qo             Qoèlet

Rm             Lettera ai Romani

Sal             Salmi

N.B. I passi biblici sono stati tradotti dall’autore dalle versioni originali curate da:
SNAITH N.H., Hebrew Old Testament, London, The British and Foreign Bible Society, 1980.
NESTLE E., ALAND K., Novum Testamentum Graece, Stuttgart, Deutsche Bibelgesellschaft, 1079.

Pregando per i suoi discepoli, Gesù, rivolto al Padre, dice: «Io ho fatto conoscere loro il tuo Nome e lo farò conoscere ancora, affinché l’amore con il quale tu mi hai amato, sia in loro e io in loro» (Gv 17, 26).

Strane parole per i suoi discepoli, che erano tutti ebrei. Gli ebrei infatti conoscevano il nome di Dio, lo aveva loro riferito Mosè; perché allora Gesù dice di essere stato lui a rivelare il nome di Dio?

Dio ha assunto molti nomi, in ognuno Egli si rivela all’uomo, instaurando, ogni volta, una specifica relazione. Gesù è venuto per farci conoscere non un nome nuovo, ma il nome capace di esprimere, sul piano umano, la qualità più alta e la dimensione affettiva più profonda: il nome di “Padre”. Gesù suggerisce così all’uomo una relazione di fiducia, un’identità di figlio, un diritto di nascita, un valore di discendenza, un legame d’affetto.

Come avviene sul piano umano, così avviene su quello spirituale: il figlio si rispecchia nel padre e il padre nel figlio. In un rapporto soddisfacente tra padre e figlio, nel padre è scritto tutto il futuro del figlio, vi sono tutte le qualità che il figlio dovrà fare proprie, vi sono tutti i desideri che un giorno il figlio desidererà, vi sono tutti i sentimenti che il figlio sperimenterà. Sul piano spirituale, il futuro è l’eternità (Qo 3,11), le qualità sono il frutto dello Spirito (Gal 5,22), i desideri tendono a renderci simili al “Padre” (1Gv 3,2), i sentimenti – quali la generosità, la gioia, la benevolenza, l’altruismo, ecc. - sono le varietà espressive attraverso cui si manifesta l’amore (1Gv 4,12).

Il fine della vita cristiana è la rivelazione di Dio come il proprio, unico e vero Padre di ogni uomo. Ora, affinché l’uomo potesse giungere a una tale consapevolezza e intrattenere con Dio una relazione affettiva, erano necessarie due condizioni, tra loro conseguenti. La prima riguardava la condizione di inimicizia che si era creata tra l’uomo e Dio, a causa del peccato; la seconda riguardava la necessità per l’uomo di rinascere con una vita nuova.

Gesù è colui che, con il suo sacrificio sulla croce, morendo, ha pagato il debito dell’uomo (Rm 5,8a), liberandolo dal sentimento del proprio fallimento, o peccato (Rm 6,7). Non basta tuttavia morire, soddisfacendo la giustizia, se l’uomo non rinasce (Rm 6,8b). La rinascita è l’opera che lo Spirito Santo compie in ogni uomo che si appropria per fede del riscatto operato da Cristo.

Gesù, prima del suo esodo, conforta i suoi, dicendo: «Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi» (Gv 16,7). L’uomo, infatti, non può vedere il regno di Dio se non nasce dall’alto (Gv 3,3), e non può entrare nel regno di Dio se non è nato da acqua e Spirito (Gv 3,5). In Gesù moriamo al peccato (Rm 6,2), ma nello Spirito siamo vivificati (2Cor 3,6), poiché «È lo Spirito che dà la vita» (Gv 6,63). La morte di Cristo ci battezza, e l’uomo è immerso nell’acqua del giudizio (Rm 6,3-4), ma è il Soffio dello Spirito a farlo risorgere con una resurrezione simile a quella di Cristo (Rm 6,5). Soltanto per l’azione dell’acqua (la morte di Cristo) e del Vento (lo Spirito Santo) noi possiamo ricevere l’adozione a figli (Gal 4,5).

E che voi siete figli – scrive Paolo – lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: ‘Abbà! Padre!’ (Gal 4,6; Rm 8,15).

Dio con il nome di Padre è l’ultima rivelazione data agli uomini. Dio, infatti, si è rivelato gradualmente, ogni volta con un nome diverso. In ogni nome era dunque espressa una qualità di Dio che consentiva all’uomo di avere un rapporto, di volta in volta più intimo, con Lui. In altre parole, Dio si è avvicinato progressivamente alla sua creatura, cercando di non spaventarla, affinché uscisse dal suo nascondiglio, oppresso da uno spirito di paura (Gen 3,10).

Facendo un riepilogo dei nomi biblici riferiti a Dio, il primo nome che incontriamo, aprendo il libro della Bibbia, è ’Elohiym (אלוהים), il Creatore:

Nel Principio ’Elohiym creò cieli e terra (Gen 1,1).

 ’Elohiym è un plurale, cui segue il verbo singolare. Nelle antiche lingue mediorientali, il plurale era utilizzato per esprimere nozioni astratte: ’Elohiym pertanto esprime la Divinità in tutta la sua totalità e perfezione. Gli Ebrei aggiungevano sovente a questo nome l’articolo (Ha’elohiym), attribuendogli così anche il significato di Dio Uno e Assoluto.

’Elohiym è dunque un plurale con valore singolare, ma è anche il plurale maschile del femminile ’Eloha, forma lunga di ’El.

Alla radice di ’Elohiym vi è ’l (ebr. אל), che, vocalizzato ’el, significa letteralmente “forza”, o “potenza” (r. v. ’iyl, “essere potente”). Nel nome di Dio è dunque racchiusa la «Parola della sua Potenza» (Eb 1,3), con la quale crea e regge i mondi.

In breve, Dio si rivela all’uomo dapprima con la sua qualità di Creatore, l’artefice di tutto il creato, nel quale mette i segni della sua onnipotenza e della sua presenza. Scrive Paolo a questo riguardo:

Quel che di Dio si può conoscere è loro manifesto, avendolo Dio stesso loro manifestato. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute (Rm 1,19-20).

’El ed ’Elohiym, nella Bibbia, sono adoperati sempre con riferimento alla creazione. L’uomo può rivolgersi a Dio mediante le opere del creato, riconoscendosi come una sua creatura. ’Elohiym è, dunque, il Dio che si esprime e si manifesta all’uomo di tutti i tempi mediante le “Forze” primordiali che presiedono alla costituzione della creazione, e che continuano a custodirla per mezzo delle leggi che governano le forze elettromagnetiche. ’Elohiym è la prima “formula”, o forma,1 di Dio Creatore che si rivela dai cieli all’uomo. ’Elohiym è l’insieme delle forze che si concentrano in un singolo atto: «creò». Prima della creazione vi era una Energia dalle infinite forme: l’unica realtà era, dunque, אל, che, vocalizzato “a” (’al), vuol dire “il nulla”, ossia il Nulla inconoscibile, Dio stesso. ’Elohiym ci dona, dunque, l’immagine di una Forza primordiale nella quale sono contenute le leggi fondamentali della Natura. L’apostolo Paolo attribuisce a ’Elohiym quattro caratteri quando dichiara che le perfezioni invisibili, l’eterna potenza e trascendenza di Dio «si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo» (Rm 1,20). I concetti di perfezione, trascendenza, eternità e onnipotenza echeggiano le caratteristiche delle leggi naturali che sono universali, assolute, atemporali e regolanti l’intera creazione.

Il nome ’Elohiym ha molte particolarità; a motivo delle proprietà delle lettere ebraiche, sulle quali si basa gran parte del misticismo ebraico, si possono formare nuove parole e significati. Leggendo il nome al contrario, da sinistra a destra, il punto di vista dell’uomo, si ottiene l’espressione my ’eleh? [מי אלה] Che vuol dire: «Chi ha fatto queste cose?». Le stesse lettere, diversamente vocalizzate, producono la domanda: my ’Eloáh? [מי אלוה] «Chi è Dio?».

’l [אל], la “Forza”, oppure “il Nulla”, si pone di fronte alla creatura sia come «Principio di tutte le cose», sia come l’ignoto Niente, o il Dio nascosto, nel quale tutto eternamente avviene. ’Elohiym, Creatore di tutte le cose e Dio di tutti è «Il Signore dell’Eternità, dai molti nomi e dalle divine forme»,2 il quale in molti modi si rivela e parla agli uomini di tutti i tempi (Eb 1,1). Nel creare l’uomo, l’abitante del creato, a sua immagine, ’Elohiym fa anche il suo primo patto. La parola אל ha anche una seconda radice verbale: אלה (’aláh) (Strong, 1990), che vuol dire “giurare”, “fare un patto”. Il progetto di Dio è fare un uomo a sua immagine, impegnando la sua credibilità (Sal 89, 34-35); l’uomo, a sua volta, è chiamato a fruttificare e a moltiplicare, a prendere possesso della terra e a essere il signore tra tutti gli animali (Gen 1,27). Nulla è chiesto all’uomo, in quanto essere creato, che non sia scritto nel suo DNA.

YHWH Il Nome della vita

Se ’Elohiym apre il racconto della creazione, Il Tetragramma YHWH (יהוה) apre, invece, il racconto della formazione di Adamo (Gen 2,4). È, questo, il grande e sacro Nome di Dio, che soltanto il sommo sacerdote poteva invocare, con la giusta vocalizzazione e intonazione, nel giorno di Kippour.

YHWH, etimologicamente, è la forma verbale della radice hwh, un’antica variante di hyh [היה; hayáh], che traduce il nostro verbo essere. Si tratta di un verbo fortemente irregolare in quanto appartenente a tre diverse categorie verbali, ognuna con comportamenti differenti. Vocalizzando, secondo la pronuncia tradizionale, ossia con “a” (pattáħ) la prima lettera [יyod], e con “e” (seggól) la terza lettera [ו - vav] si ottiene la terza persona singolare di un verbo usato nel tempo futuro della forma causativa attiva (hif‘yl): si potrebbe in questo caso tradurre

EGLI FARÀ ESSERE.

Questo Nome pone un principio di vita, un EGLI (o lui) ineffabile, causa e ratio dell’essere in divenire. Accanto a ’Elohiym, Dio governatore e giudice delle cose create, si pone YHWH, il Dio dal Nome “vuoto” di contenuti visibili, ma pieno di spazio e di tempo. L’uomo creato deve essere, infatti, formato all’interno del Nome [םשׁ- šem], che vocalizzato “a” (šam) designa un luogo. Ora, YHWH appare seguito da ’Elohiym (Gen 2,4): vi è dunque un luogo, circoscritto dal Nome (YHWH), dalle infinite possibilità, in cui possono spiegarsi le potenzialità, altrettanto infinite, del Dio creatore (’Elohiym).

L’incipit stesso della Bibbia: «Nel principio ’Elohiym creò» lascia intravedere una ragione e una spiegazione della creazione contenuta nella parola “principio”. La parola re’shiyt, tradotta con principio, deriva dall’unità più antica ro’sh, che vuol dire testa. La creazione avvenne, dunque, “nel principio”, ossia nel luogo ove sono generate le parole e prendono forma le immagini.

La proposizione: «Nel principio era la Parola», che echeggia nel Vangelo di Giovanni (Gv 1,1), non vuol dire che all’inizio vi fosse la Parola, ma che la Parola (Logos) era ragione di se stessa (v. Ap 3,14; Ef 1,16). ’Elohiym dunque creò all’interno di un “disegno preordinato”, che è contenuto e rivelato nel Nome di YHWH.

In questo Nome troviamo:

  • egli – pronome personale di terza persona, che esprime il concetto di Dio Uno e Alter rispetto all’uomo;
  • tempo futuro - che esprime un progetto di vita che si compirà nell’uomo;
  • forma causativa attiva - che manifesta l’esistenza di un Autore, ed esprime un impegno e una promessa che l’Autore assume nei riguardi dell’uomo.

In breve, YHWH è un verbo il cui soggetto si rivela nell’opera che compie: in esso si parla di vita, di una promessa e di una speranza. Con il Tetragramma, Dio si fa presente in una dimensione in divenire; facendosi conoscere, non con un attributo o una qualità, ma attraverso le esperienze che la vita ha in serbo per ogni uomo.

 ’Elohiym è il Dio di tutti i popoli della Terra; YHWH è il Dio che rivela i pensieri del cuore a quanti lo cercano.

È YHWH, infatti, il Dio della misericordia e non della giustizia, Colui che ode il grido di dolore che si alza da Sodoma, e che, insieme con Abramo, cerca di salvarla;

è YHWH a udire il grido che si alza dal suo popolo, schiavo in Egitto, e chiama Mosè a liberarlo;

è YHWH a parlare con Noè per dirgli che avrebbe conservato in vita lui e tutta la sua famiglia (Gen 7,1), dopo che ’Elohiym lo aveva informato della prossima fine della creazione (Gen 6,13);

è YHWH, al quale Noè aveva edificato un altare, a benedire la vita (Gen 8,21), dopo che ’Elohiym fece cessare il diluvio, chiudendo le cataratte del cielo (Gen 8,1).

Tuttavia né Adamo, né Noè si rivolsero a Dio chiamandolo con il Nome di YHWH, se pure invocavano in questo Nome (Gen 6,1).

YHWH, nel cui Nome è la promessa, non viene mai meno nel suo rapporto con l’uomo.

È YHWH a parlare con Caino, perché fosse risparmiato (Gen 4,9);

è YHWH a pentirsi di aver fatto [השׂﬠ- ‘aśah] l’uomo sulla terra (Gen 6,6) (non di averlo creato [בראbará’], opera di ’Elohiym);1

è YHWH a scendere per vedere la torre che gli uomini edificavano, affinché popolassero la terra (Gen 11,5);

è YHWH, infine, a cercare Abramo e a condurlo fuori della città di Ur dei Caldei.

Tuttavia, spetta a ’Elohiym rinnovare il patto con l’uomo, nella persona di Noè; è un patto che serve a rassicurare l’uomo dalle sue paure; poiché una frattura si era verificata tra l’uomo e la creazione, e la paura si era insinuata nei rapporti tra tutti gli esseri viventi (Gen 9,1 sgg.).

Alleanza di ’Elohiym con Adamo

’Elohiym li benedisse, ed ’Elohiym disse loro: Fruttificate, moltiplicatevi e riempite la terra, assoggettatela e governate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni vivente che striscia sulla terra (Gen 1,28).   

Alleanza di ’Elohiym con Noè

Elohiym benedisse Noè e i suoi figli, e disse loro: Fruttificate, moltiplicatevi e

riempite la terra, e il timore e il terrore di voi sia su tutti i viventi della terra e su ogni volatile nei cieli, in tutto ciò che striscia sul suolo e in tutti i pesci del mare (Gen 9,1-2).

L’alleanza di יהוה (YHWH) con Abramo

La storia dell’uomo biblico è contrassegnata da diversi momenti cruciali, nei quali Dio-YHWH si rivela progressivamente all’uomo, mentre questi si avvicina alla propria verità, la quale è nascosta in quel preciso nome di Dio (Col 3,3).

Fino ad Abramo, Dio cerca l’uomo; con Abramo inizia la ricerca di Dio da parte dell’uomo. Abramo, infatti, è il primo uomo, dopo Adamo, a rivolgersi a Dio, e il primo a chiamarlo per Nome. Del nome di Dio egli conosce soltanto il suono, non la forma; infatti, lo chiama ’Adonai YHWH (Gen 15,2). Dio è concepito come Signore e Padrone della vita, non come la Vita stessa (Gv 11,25). Dio-YHWH promette una discendenza ad Abramo e, conducendolo fuori della tenda, gli dice: «Guarda i cieli e conta le stelle, se le puoi contare. Così sarà la tua progenie» (Gen 15,5). Vi è dunque un progetto di vita cui partecipa l’intero creato (Rm 8,22). Abramo credette a Dio-YHWH (Gen 15,6), a una promessa di vita racchiusa in questo nome, e subito dopo Dio-YHWH si proclamò ad Abramo, dichiarandogli il suo vero nome: «Io sono YHWH» (Io sarò colui che sarà tra voi) (Gen 15,7). Il patto fatto tra YHWH ed Abramo sarà completato da ’Elohiym con un segno, la circoncisione, nella carne creata (Gen 11,9 sgg.). Le opere, quando sono vere, sono sempre l’espressione esteriore della fede.

YHWH si rivela gradualmente ad Abramo, a mano a mano che questi progredisce nel suo “cammino” interiore, simboleggiato dagli eventi esterni. Ad Abramo, che torna vincitore dalla guerra contro i quattro re, Dio si rivela come ’El ‘Elyón [אל עליון] (Gen14,19), come Colui che è Forza suprema, ma Abramo associa questo nome a YHWH, che diviene la sorgente di questa forza, come a voler indicare che Dio è oltre ogni definizione. ’El ‘Elyòn, il nome con cui i Cananiti indicavano il Dio creatore, padrone dei cieli e della terra, segna il primo passo verso la ricostituzione della relazione dell’uomo con YHWH ’Elohiym, l’Essere creante.

Successivamente, Dio si rivela ad Abramo come ’El Šadday [ידּשּׁ אל] (la Forza onnipotente) (Gen 17,1), e rinnova il suo patto con la promessa che sarà lo ’Elohiym, cioè il Creatore del suo popolo (Gen 17,8). In questo patto non è più imposto all’uomo di moltiplicarsi, ma è Dio stesso, Colui che è la Potenza, a moltiplicare Abramo e i suoi discendenti. Šadday, Colui che agisce con potenza (r.v. šiadad), diventa il garante dell’uomo, e il suo nome dovrebbe rassicurare circa la sua fedeltà. In accadico, «šadu» vuol dire “montagna”, “roccia”; «ay» è suffisso aggettivale, quindi si può intendere che Dio si fa conoscere come colui che è fermo come la montagna: Šadday potrebbe essere tradotto con “Colui che è la Roccia”. Quando Dio parla, la sua parola è per sempre, irrevocabile: «Poiché i doni e la chiamata di Dio sono senza pentimento» (Rm 11,29). Se dunque abbiamo creduto nelle parole di Gesù, nel dono della vita eterna (Gv 3,16), noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita (1Gv 3,14), e che nessuno potrà rapirci dalla mano del Padre (1Gv 10,29).

A Beer-Sceba, infine, nel “Nome di YHWH”, Abramo invoca ’El ‘Olám [אל עולם] (Gen 21,33), che vuol dire la “Forza di un tempo indefinitamente lungo”, ossia il Dio del tempo remoto e di quello a venire, il Dio dell’Eternità.

’El ‘Elyón (l’Altissimo, il Padrone del creato), ’El Šadday (l’Onnipotente che tutto fa essere), ’El ‘Olám (il Dio dei padri e dei figli) sono i tre aspetti dell’opera di YHWH ’Elohiym.

I patriarchi conoscevano e invocavano nel nome di Dio-YHWH, tuttavia non ne conoscevano il significato. Conoscere un nome vuol dire prevedere la sua attuazione. Dio aveva promesso ad Abramo un figlio, e Abramo ebbe fede in YHWH, in “Colui che avrebbe generato facendo essere”; in altre parole, Abramo credeva nell’onnipotenza di YHWH e nel figlio che avrebbe avuto, ma non era in grado di comprendere che YHWH sarebbe “divenuto” in un modo e in un tempo che lo avrebbero indicato nella prima persona del presente, ossia mediante l’Io Sono. Dio comunica infatti a Mosè: «Mi rivelai ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe con il nome di ’El Šadday, ma con il mio nome, YHWH, non mi feci da loro conoscere» (Es 6, 3); questo futuro si può rivelare soltanto in un presente, in cui Egli diventa Io.

Sul monte Horeb, Dio si presenta a Mosè dicendo:

«Io (sono) il Dio (’Elohéy) di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es. 3,6).

Dio si era già presentato ad Abramo qualificandosi come “Io (sono)” seguito da ’El [אני אל-Aní ’El] (Gen 17,1), ma a Mosè si rivela, accentuando il pronome personale, che diventa אנכי (’Anokíy), che vuol dire:

«SONO PROPRIO IO».

Dio è l’unico che possa dire: «Io Sono», poiché Egli è eternamente. L’autore della lettera agli Ebrei scrive: «Chi si avvicina a Dio deve credere che Egli È» (Eb 11,6). Egli È è l’unico Nome di Dio possibile. Mosè non può comprendere l’Io sono, e chiede indirettamente a Dio di rivelargli il suo vero Nome: «Ecco, quando arriverò dagli Israeliti e avrò loro detto: Il Dio dei vostri padri mi ha inviato a voi. Se mi diranno: Qual è il suo Nome? Io che cosa risponderò?». A rispondere è Dio-YHWH, cioè “il Dio che farà essere” e si rivela con la prima persona singolare nel tempo futuro:

אהיה אשר אהיה

(’Éheyeh ’Ašèr ’Éheyeh).

«Sarò Colui Che Sarò»

Quindi aggiunse: «Sarò mi mandò a voi» (Es 3,14). La rivelazione del suo Nome è dunque rimandata, tuttavia ritorna il Nome intero di Dio, facendo sapere che: «YHWH è ’Élohey dei vostri padri» (Es 3,15). ’Élohey e non ’Élohiym, seppure entrambe le forma siano al plurale, qui Dio si presenta come il Dio di Israele e non di tutti i popoli, simboleggiati dalla “m” finale di ’Élohiym (D’Olivet, 1815).

Dio non può rivelare il suo vero nome, poiché ogni suo nome può essere vero soltanto con riferimento al livello spirituale dell’uomo. Inoltre, soltanto colui che può identificarsi rispetto a un altro può avere un nome, ma Dio non ha alterità pari a Lui. Dio non può autonominarsi senza autolimitarsi; tuttavia, con il Nome “Sarò colui che sarò” Egli si esprime in prima persona, e non allude più a qualcosa che sarà, ma a sé stesso che diverrà. Et verbum caro factum est.

ה אני (’Aniy hu’) il Nome di Dio.

L’ultima alleanza, o patto nuovo, è quella stabilita tra Dio e l’uomo Gesù, il figlio promesso a Eva, e successivamente ad Abramo. YHWH (Egli farà essere) acquista dapprima la forma di ’Éheyeh (Sarò), e infine diventa Io sono nel Figlio dell’uomo. In Gesù si adempie, dunque, sia la promessa di un Figlio, il quale avrebbe riscattato la progenie della donna dalla schiavitù della tenebra, sia la promessa contenuta nel Nome stesso di Dio (YHWH). Questo Nome, infatti, si trasforma da Egli in Io; trasforma l’Autore in Attore protagonista, e il tempo futuro in opera compiuta, nel consummàtum est; in una parola si trasforma nell’uomo Gesù e nella sua opera.

Gesù, nel Tempio, si è appena proclamato figlio di Abramo e figlio del Padre; i Giudei capiscono le sue parole e, ritenendolo indemoniato, gli dicono:

 «Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo morì, così i profeti e tu dici: Se uno osserva la mia parola, non gusterà la morte in eterno. Tu sei forse più grande del nostro padre Abramo, che morì? Morirono anche i profeti: fai te stesso uguale a chi?»

Rispose Gesù: «Se glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe un nulla. È il Padre mio che mi glorifica, lo stesso di cui voi dite: È il nostro Dio. Voi non lo avete conosciuto, io invece lo conosco. Se dicessi di non conoscerlo, sarei bugiardo come voi. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo vostro padre esultò perché vide il mio giorno. Lo vide e gioì».

Gli dissero allora i Giudei: «Non hai neppure cinquant’anni e hai visto Abramo?».

E Gesù: «Amèn, amèn vi dico. Prima che Abramo fosse, IO SONO».

Allora raccolsero pietre per scagliargliele contro, ma Gesù si sottrasse ed uscì dal Tempio (Gv 8,52-59).

Gesù aveva superato il limite, aveva pronunziato il nome di Dio e, secondo la legge, meritava un’immediata morte per lapidazione. Inoltre, Gesù aveva attribuito quel nome, “Io Sono”, a sé stesso, facendosi non solo uguale a Dio, ma identificandosi con il Dio che disse a Mosè: «Sarò colui che sarò». In Gesù dunque YHWH era divenuto la prima persona singolare di un tempo eternamente presente: Io sono. Gli Ebrei hanno udito, hanno capito e hanno avuto paura. Il loro gesto di raccogliere pietre fu istintivo e conforme ai comandamenti della Legge.

«Prima che Abramo fosse – dice Gesù – IO SONO». Il testo greco ha Egò eimí, che in ebraico diventa אּוּה אני (’Aniy hu’), vale a dire: «Io Sono Egli», vale a dire YHWH.

Dio ha mantenuto fede al suo patto, facendosi Figlio dell’uomo e facendo un tale uomo a sua immagine e somiglianza. Scopriamo così, attraverso l’analisi dei nomi, che Dio non fece mai alcun patto che impegnasse veramente l’uomo. L’unico vero patto lo fece con sé stesso, quando, prima ancora di creare l’uomo, disse:

 «Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza» (Gen 1,26).

A parlare, in questo passo, è ’Elohiym, cui segue straordinariamente un verbo plurale: «Facciamo …» [הנע na‘aśeh]. Ora, un patto, perché sia valido, si stipula tra due persone e alla presenza di un garante. La Parola, il Logos, è Colui che s’impegna a diventare uomo secondo l’eterno consiglio di YHWH (Sal 33,11). La Parola, in ebraico דבר (davár), contiene a sua volta la parola בר (bar – figlio), la stessa parola che era “nel principio” (Gv 1,1), in ebraico בראשית (bereshit). Nel Figlio è racchiuso ogni ragione, significato e fine di tutta la creazione.

Conoscere il Nome di Dio, secondo l’insegnamento biblico, vuol dire realizzare, qui e ora, la realtà dell’Io sono. Ora, ogni uomo battezzato nella morte di Cristo (il Figlio) si appropria di questo “io sono” non Cristo, ma figlio in Cristo. Ora, chi si riconosce figlio sa di un Padre e può iniziare a invocarlo, mediante lo Spirito di Cristo (Rm 8,14-16).

In conclusione il messaggio racchiuso in YHWH è che l’uomo può trovare il suo vero אני (’Aniy), ossia il suo IO SONO, soltanto se entra nelle vicissitudini di questo Nome; in caso contrario, il suo אני (’Aniy) si trasformerà in אין (’Ayin) [anagramma di אני], che vuol dire “il nulla”.

L’uomo può dire “Io sono” soltanto se riconosce un Principio che crea e genera, vale a dire un Padre; al contrario, una esistenza senza principio non ha nessuna esistenza.

Nota

1 Questo passo che tanto fa discutere non vuol dire che Dio si pentì dell’uomo, ma di averlo messo sulla terra, là dove sono gli animali che strisciano e le bestie selvatiche (Gen 2,8), simboli di attività demoniache.

Riferimenti bibliografici

D’olivet, F., La langue hébraïque, Paris, Eberhart, 1816.
Strong, J. Exhaustive Concordance of the Bible, Nashville, Thomas Nelson Publishers, 1990.
Wilson,
H. (1993), Understanding Hieroglyphs, London, O’Mara Books, 1993.

© Torino, 8 maggio 2017