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È il Signore!
(Giovanni 21,7)

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6. Un itinerario che abbisogna di solitudine, silenzio, libertà
Per conoscere se stessi, per comprendersi e interpretarsi occorrono delle condizioni che favoriscano questo lavoro interiore, che permettano di concentrare gli sguardi e di resistere alla dissipazione: occorre raccogliere le forze per «andare a fondo», per scendere nelle proprie profondità e sperimentare la vita spirituale quale processo di gravidanza, in cui si prende forma, si è generati, si rinasce – Gesù parla in proposito di «rinascita dall’alto», grazie allo Spirito santo (cf. Gv 3,3-8) –, si fa emergere ciò che è in noi e che noi non siamo ancora.
La solitudine appare in questo senso come una prima necessità. Ma si faccia attenzione: non si tratta della solitudine-isolamento che è negativa per ogni uomo, bensì della solitudine come dimensione in cui essere soli con se stessi e prendere le distanze da tutto ciò che nel quotidiano è una presenza ingombrante. Sappiamo bene quale fatica comporti l’introdurre nella nostra vita spazi e momenti di solitudine: apprensione, ansia, anche disgusto ci possono invadere quando incominciamo a stare in solitudine, in disparte; passare dall’agitazione delle preoccupazioni quotidiane alla solitudine non è spontaneo ma richiede una decisione, uno sforzo di volontà. In verità le distrazioni ci piacciono, il rumore interiore ci tiene compagnia, la presenza di altre voci e di diverse immagini ci avvolge e ci protegge da noi stessi, da ciò che siamo in verità. «Diventa ciò che sei!» esortava Pindaro, ma noi resistiamo a questa chiamata profonda che ci abita.
Se c’è vera solitudine c’è anche il silenzio, da intendersi non come mutismo ma come distanza dalle voci, come possibilità di un ascolto «altro», ascolto di ciò che non è rumore, chiasso, tono alto di voce, di ciò che non si impone e tuttavia parla: sì, perché anche il silenzio è eloquente, parla e può essere ascoltato (cf. 1Re 19,12). La vita interiore ha bisogno di un tempo di silenzio, che consenta ai nostri sensi di funzionare in modo semplice e naturale, senza essere sollecitati artificialmente; ha bisogno di uno spazio «in disparte», di una volontà non di fuga ma piuttosto di raccoglimento: nel linguaggio corrente si dice appunto che occorre ritrovare se stessi – espressione curiosa! –, a indicare che si può essere perduti, smarriti…
Silenzio e solitudine permettono anche il fiorire della libertà personale, attraverso un lavoro di umanizzazione progressiva, di crescita della capacità critica in grado di giudicare e discernere tutte le offerte, di assunzione della soggettività. Bisogna saper dire «io» nella vita interiore, anzi imparare a dirlo, per poter dire anche «noi» in modo autentico. Va detto in modo forte: per poter vivere un cammino spirituale occorre assolutamente la libertà, una libertà sottomessa alla prova ma sempre da afferrare e da confermare per poter avanzare.
Essere liberi desta paura, soprattutto nello spazio interiore dove forza d’inerzia, tentazioni di benessere, incombenti sonnolenze sono sempre efficaci e attive. Ogni uomo è chiamato a scrivere lui stesso la propria storia; non c’è fato né necessità e nulla è predeterminato. La creazione, il fare della propria vita un’opera d’arte hanno assoluto bisogno della libertà: e non c’è libertà né liberazione possibile senza la libertà interiore.